In un mondo sempre più composto da elementi immateriali (servizi, funzioni, ) come si trasforma il rapporto tra merce e denaro? Il denaro per sua natura è un’astrazione parzialmente rappresentata dalle monete che sono apparse nella storia dell’umanità (dalle conchiglie al solidus da 4,5 grammi d’oro, dalle banconote alle transazioni NFC), che serviva a rappresentare un sistema di scambi tra le persone che quasi sempre prendeva la forma di una merce materiale (un’automobile, un utensile) o di un valore computabile (l’ora di lavoro pagata un tot).
Al contrario, oggi siamo entrati in una fase in cui non solo la moneta, ma gran parte dei beni di cui fruiamo o cui diamo maggior importanza per la nostra esistenza o per il nostro percorso futuro è rappresentato da elementi immateriali, quali un servizio di comunicazione, un software o un app, il cui costo viene deciso da chi lo eroga in maniera spesso del tutto scollegata dai costi materiali storici di produzione ed eventualmente erogato gratuitamente in funzione dell’appropriazione di altri beni, estratti dagli utenti sotto forma di dati computabili, o di valorizzazioni finanziarie future non legate ai metodi tradizionali di valutazione delle merci fisiche.
In questo senso si crea una situazione speculare tra un capitalismo che valorizza la capacità di produrre valore da astrazioni (i dati) di scelte, comportamenti o attributi delle persone, e un capitalismo finanziarizzato che produce valore da denaro in gran parte dematerializzato. L’avvento delle monete deterritorializzate basate su blockchains estremizza il processo già in corso con la finanza globale e tende a costruire dei territori virtuali, digitali, di cui queste monete garantiranno la cittadinanza solo ai loro possessori.
Il processo di astrazione della moneta e delle vite è tra i temi al centro delle riflessioni dell’ultimo libro di Christian Marazzi Che cos’è il plusvalore? (Casagrande Ed., Bellinzona), di cui ripubblico un passaggio ripreso da cheFare, che ringrazio. (B.C.)
Felix Martin, storico del denaro, ha scritto un libro stupendo (Denaro. La storia vera: quello che il capitalismo non ha capito, Utet, Torino, 2014) in cui parla della scoperta della comunità sull’isola di Yap nel Pacifico da parte di un antropologo, William H. Furness, che all’inizio del Novecento ne studiò usi e costumi, fondamentali per il pensiero di John M. Keynes e persino dell’ultimo Milton Friedman. Questa comunità, mai colonizzata nonostante i vari tentativi di missionari e britannici – i quali morirono nell’impresa – disponeva soltanto di tre beni presenti sull’isola: il merluzzo, il cocco e il cetriolo di mare. È una classica comunità nella quale si poteva ipotizzare il baratto, con poche persone che si scambiano solo tre merci.