Narrazioni

Fumo

Sono le 4.02 del 14 febbraio 2016. Filamenti grigi e spesse volute di fumo si sovrappongono e si dissolvono sullo schermo del portatile dove stai guardando per la tredicesima volta l’azione letale. In ogni passaggio dei sessanta secondi precedenti hai preso nota di tutti gli errori, fino a quello finale, irrevocabile.

Hai riempito pagine di appunti e la stanchezza non ti fa venire in mente altre idee o correzioni.

Resti a guardare ipnotizzato l’azione, in un certo senso quasi contento di poter vedere e rivedere i sessanta secondi che ti hanno cambiato la vita. A pochi capita questa fortuna: non solo essere consapevoli di vivere una curva della propria vita, ma anche di poterla rivedere al computer quante volte si vuole.

.

Una deviazione. Solo pochi centimetri. Sbaglia chi si illude che la vita sia fatta di scelte. Invece è fatta di deviazioni infinitesimali, di cui spesso neanche ci accorgiamo.

 

Hai perso lo scudetto. Potevi fare l’impresa al primo anno. Saresti entrato nella mitologia di Napoli e nella storia del calcio. Eppure, ogni volta che sei vicino alla meta il destino ti si ritrae, ti rigetta indietro come un’onda spezzata nella corrente di risacca.

.

Io non accuso niente e nessuno, perché il destino, a differenza di mio padre, me lo son potuto scegliere, e ne ho pagato tutte le conseguenze.

.

C’è sempre stato uno iato tra te e il mondo. La stessa distanza, la stessa differenza di prospettive che hai sentito attorno a te come un peso, un’irrisione, uno scuotere il capo quando hai abbandonato un posto da dirigente di banca e una carriera con le migliori prospettive per andare a perderti in campi di provincia, tra ragazzi talentuosi ma svogliati, volenterosi ma senza talento, possenti ma tonti, tutti già naufragati nelle serie minori per pigrizia, supponenza o sfiga. Ragazzotti che raramente capivano tanto accanimento per uno schema da calcio d’angolo sbagliato o tanta ostinazione nel correggere un movimento errato in difesa, che non riuscivano a capire perché stare tanto corti, in campionati dove il lancio da quaranta metri era una ovvia necessità.

.

Mister, siamo al Tegoleto, non al Real Madrid”, disse Tonioni, uno che sapeva davvero come si gioca ma non gliene fregava un cazzo di migliorarsi. Davvero bravo, Tonioni, ma non riuscivo a capire le sue provocazioni e il suo menefreghismo. Il padre si arrangiava a fare il cameriere nel bar di via Roma a Badia al Pino. E glielo dissi chissà quante volte: “Guarda che hai piedi buoni e cervello, il calcio ti può dare una possibilità. Impegnati”. “Mister, chi parte da dietro non arriva davanti”. E con quella frase discorso finito, la sua irridenza da ventenne già deluso.

E lì forse pensai che se Tonioni a vent’anni aveva già mollato, io, a quarant’anni compiuti, dovevo provarci per non avere più rammarichi.

Ma chi ero io? Un povero illuso, un toscanaccio testardo o avevo qualche qualità? Vedevo le disposizioni banali delle squadre che affrontavamo con la Sansovino e mi dicevo che rispetto ad allenatori rinomati, che da giocatori avevano vinto coppe e campionati, da meno proprio non lo ero. Che cosa era la mia? la presunzione del dilettante? Sapevo che solo in un modo avrei potuto capirlo.

.

Quante volte a svegliarti di soprassalto in piena notte, per pensare a un movimento e soprattutto per pensare a come stavi sprecando la tua vita tra Londra e Lussemburgo.

.

Vita del cazzo tra tavoli di mogano e poltrone di pelle nera. E mentre si negoziava sul mercato interbancario, io pensavo che con il Foiano avrei dovuto spostare di dieci metri indietro Meacci.

Dovevo decidermi.

.

Ma cosa hai? La tua carriera va a gonfie vele, ti mandano a Londra, in Germania, in Lussemburgo, abbiamo già quasi finito di pagare il mutuo, puoi seguire la tua passione senza preoccupazioni, nessuno te lo nega. Perché vuoi mandare tutto al diavolo? Io davvero non capisco. Passare dalla serie A delle banche ai calciatori dilettanti di campagna? Con quali obiettivi? Per fare contenti quattro tifosi che alla terza sconfitta consecutiva ti insulteranno? Per seguire dei ragazzi senza futuro? Io non capisco ma se vuoi farlo ti starò vicina, non posso continuare a vederti la notte così agitato e di giorno così malinconico.

Una moglie può accettare di rinunciare alle certezze della mezza età solo davanti a due fatti: una grande passione o una grande sofferenza. Hai sofferto tu ma ha sofferto anche lei, prima e dopo la tua nuova vita da allenatore. E ti senti in debito con lei, per tutte le delusioni di questi anni che lei ha sopportato perché aveva capito che la tua passione era tutto per te, e avresti magari rinunciato a lei piuttosto che al calcio. Sei passato dalle trasferte a Londra, Lussemburgo, Francoforte alle stagioni a Verona, Pescara, Alessandria.

Quante volte hai pensato alla carriera che hai lasciato in banca, stipendio ottimo e sicuro a fine mese, viaggi in business class, bonus ogni trimestre, mutui a tassi agevolati. Evitavi di risentire i vecchi colleghi, ora strapagati, per non farti rodere dall’invidia e da quel dubbio di fallimento che ti ha accompagnato fino a qualche anno fa, fino a quando non hanno iniziato ad accorgersi di te.

.

Non me ne frega un cazzo di fare i soldi leccando il culo a qualche presidente di qualche cazzo di cassa di risparmio, facendomi massone o truffando i pensionati che hanno fatto per tutta la vita un lavoro di merda. Ho detto vaffanculo a questo mondo quando potevo ottenere più di tutti.

Perché vedere un movimento messo in pratica come l’ho immaginato, pensare a un ragazzo che ogni giorno si fa 50 chilometri in auto all’andata e al ritorno per venire all’allenamento per poi vedersi rimborsata la benzina dopo tre mesi, credere che dopo una vittoria un tifoso felice si sveglierà l’indomani alle 5 per andare al lavoro in officina meno abbruttito, sono le soddisfazioni che davvero cercavo.

Io quella vita del cazzo, imbellettata, riunioni su riunioni in giro d’Europa, non la sopportavo. Vi siete mai chiesti perché porto la tuta? Sai per quanti anni ho portato elegantemente completi e cravatte a tono? E adesso solo perché vado in campo in tuta mi prendono per cafone? Quando giravo per Londra vestito di tutto punto i Mancini ancora non andavano oltre le camicie hawaiane.

E ancora oggi, dopo anni di carriera e anche di riconoscimenti c’è ancora qualche giornalista imbecille che rivanga la storia del bancario. Non so perché non hanno niente di meglio da scrivere o perché vorrebbero farmi passare per dilettante. Io il calcio l’ho studiato come pochi. L’ho inseguito con la testardaggine di chi non era destinato ad esso, come un amore adolescenziale che riconquisti nella maturità e ti fà risentire ragazzino. Ho pagato più di tutti per vivere nel calcio, e non me ne pento.

.

Attorno ai quarant’anni arriva l’ultima chiamata per cercare se stessi. Abbiamo passato anni a fare esperienze e disperdere energie per capire cosa volevamo dalla vita, ma la maggioranza delle persone, arrivate a quel punto, si rifugia nelle convenienze, nelle paure, nei vincoli, nel pudore di mostrarsi irrazionali o infantili per inseguire le aspirazioni dell’adolescenza. Accettano di passare il resto dei giorni popolati da rammarichi piuttosto che rischiare. Pochissimi decidono un ultimo volo, dopo magari aver raggiunto anche risultati significativi in lavori che non suscitano in loro entusiasmo o gratificazione.

Si sceglie di darsi all’arte, al volontariato, aprire un’azienda, cambiare città o paese. Diventare allenatore. Il più delle volte il troppo tempo passato a fare altro lo sconti con pressappochismo, superficialità, dilettantismo, fallimenti. L’unica alternativa per recuperare il tempo perso è applicarsi costantemente e avere la personalità per non mollare quando arrivano le difficoltà, quando ti accorgi di aver sbagliato, quando ti ritrovi a dare un senso a scelte che nessuno capisce attorno a te.

Avrei fatto questo lavoro anche gratis ma la mia ambizione era riuscire a farmi pagare per la mia passione. Tutto è vero. In questo posso dire di avere avuto successo. Quello che non dico è che voglio vincere. Non mi interessa solo giocare. Non passo intere giornate tra computer e campo per perdere le partite con un gol di culo all’88esimo.

Zaza un gol così pesante in carriera non lo segnerà mai più. E te lo posso spiegare sulla base di argomentazioni tecniche e tattiche. Ha un buon sinistro e una buona tenuta atletica ma non è capace di leggere tatticamente la gara. Non è un attaccante attorno al quale puoi costruire un progetto di squadra. Eppure stasera ha catalizzato tutti gli errori dei miei. Koulibaly non lo ha anticipato e ha fatto una delle rare cazzate di quest’anno. Mertens non doveva sbagliare il passaggio, ha regalato la palla al limite. Jorginho non ha contrato con efficacia Cuadrado. Hisaj non doveva far toccare di testa Alex Sandro. Ed Evra era solo e ha avuto tutto il tempo per passare a Zaza, che ha avuto tutto il tempo per aggiustarsi il pallone e preparare il tiro deviato da Albiol. Quando si dice il gioco di squadra…

Aspettavo Higuain stanotte. Sarebbe stato il trionfo. Suo e mio. Il frutto di mesi di lavoro a lavorare sui movimenti, sul fisico, sulla disciplina, sull’orgoglio, sulla testa, sul senso di appartenenza di questo ragazzo.

Lo ricordo a Dimaro. Un ragazzo infragilito dalle delusioni, reso insicuro dei suoi mezzi, frustrato dal ricominciare un’altra stagione in una società mediocre, con uno stadio sgarrupato e compagni di squadra che non capiscono e non sopportano più le sue sfuriate. E in più un allenatore nuovo, non celebrato come il precedente e ingaggiato perché poco costoso, che a 57 anni non aveva mai fatto una coppa europea.

Ero entusiasta dal poter allenare un giocatore come lui, capace di aprire gli spazi, di spiazzare gli avversari con le finte, la palla o la semplice intelligenza, di cambiare in un momento la posizione per ricevere al meglio la palla, di costruirsi le occasioni da gol in maniera assolutamente imprevedibile. Ammiravo la sua ossessione per il gol, la sua visione di gioco senza palla, la sua capacità di relazionarsi sulla direttrice tra sé e la porta quasi sempre in maniera ottimale. La sua forza. Inespressa. Per questo c’ero io.

Come avrei fatto a convincere questo ragazzo a seguirmi?

Questo forse è il mio capolavoro, perché alla fine se sei un campione o sei un giocatore di provincia certe paure sono sempre le stesse, anche se cambia la categoria.

Rassicurarlo. “Tu sei tra i più forti giocatori al mondo. Non fare confronti con Cristiano Ronaldo o con Benzema: quello è il passato. Tu devi solo dimostrare di essere forte quanto sei davvero”.

Stima e fiducia. “Per me è un’onore allenarti. Ti dimostrerò che posso migliorarti”

Proteggerlo da se stesso. “Non devi pensare a dove ti trovi adesso nella tua carriera, non devi fare paragoni che ti deprimerebbero. Impegnati, non lasciarti andare, non esagerare con le uscite, non voglio vederti con la pancetta quest’anno”.

Motivarlo toccandolo nell’orgoglio. “Tu sei tra i primi cinque attaccanti ma devi dimostrarmelo”

(E fargli capire che non sono succube):“Tu sprechi troppe energie mentali nel corso della partita. Scarichi la tensione sui compagni ma spesso sei tu troppo lontano dalla loro linea, non partecipi all’azione e non prendi la palla quante volte vorresti. Ti muovi troppo sulla verticale e devi attaccare di più la profondità. E poi troppa ansia di metterla dentro ti fa crescere l’insicurezza e così rischi di commettere errori. Hai 95 minuti per metterla dentro”.

Non so quale di queste frasi lo colpì, e non so nemmeno se fosse una di queste o un’altra. Ma che importa oramai? Lui è capocannoniere, eravamo in vetta alla classifica ma abbiamo perso. Illuderemo per un po’ i tifosi dicendo che ancora tutto è possibile, li tranquillizzeremo continuando a dire che avevamo e abbiamo altri obiettivi ma in realtà stasera abbiamo capito di aver perso, di poter solo accettare per il resto del campionato questo stato di cose e di doverci accontentare di qualche soddisfazione che verrà. Fine corsa. Il tempo delle grandi ambizioni è finito. Prima lo accetteremo e prima potremmo ricominciare a giocare con dignità.

 

Maurizio, è tardi, stacca e vieni a dormire qualche ora”

.

Voglio star da solo e accendermi ancora una sigaretta. Sarebbe bello perdersi nel fumo qualche volta. Tu fumi e a un certo punto diventi un filino che ascende, che poi si attorciglia e prende la forma di una medusa che galleggia a metà tra te e il soffitto. Poi si sfilaccia, cerca di trasmutarsi in un altro essere, serpente o verme, o in qualcosa che c’è ma che non riesci a intuire, perché prima della fine tutto è più indistinto. Quando sono agitato espiro un intero zoo di fumo, e non solo animali ma figure geometriche, nebbie, nuvole, correnti, venti. Ti aiutano a ripulire la mente, a pensare alle cose con più lucidità proprio perché sono mascherate dal fumo, a distaccarti dalla realtà.

Dovrei staccare e andare a dormire, non ha torto. Ma il sonno sono ore sottratte al calcio e i miei sogni sono fatti di schemi, di cross, di azioni e di gol che faremo. Vorrei parlare per ore di tattica e di posizioni in campo, di preparazione psicoatletica dell’incontro e di rifinitura dei movimenti in sincrono dei reparti, di schemi su palla inattiva e di analisi statistiche degli incontri, ma in conferenza stampa il coglione che mi ricorda la mia vita precedente me lo ritrovo sempre. Così come il mestiere di mio padre operaio: conosco decine di calciatori e di colleghi che vengono da famiglie umili. Ma solo nel mio caso mettono in ballo mio padre.

.

Come quando mi buttarono nel fosso. Avevo osato troppo. Andare contro gli ordini. Dar noia al grande Coppi. Pretendere il mio spazio, la mia dignità e anche un pochetto di gloria, dai. La lezione la capii fin troppo bene e rinunciai ad ogni ambizione. Dopo poco smisi di correre. Rientrai nei ranghi di chi doveva rimanere dietro, nella vita e nello sport. Avevo una moglie. Non potevamo mangiarci i raggi della bicicletta a cena.

Il mio orgoglio era vederti vestito di tutto punto per andare a lavorare in banca e per le trasferte all’estero.

Il figlio di operaio ora dirigente di banca. Lo sport è solo per salute e divertimento. Lo sport non è per noi classe operaia, anche se ci ho creduto, ci ho provato e mi son ritrovato nel fosso. Tu hai un lavoro pulito, sei avviato a una grande carriera, e non avrai problemi economici. Non sai quanto sono orgoglioso.

.

Papà, meno male che non hai visto gli esoneri di questi anni. Il Perugia, l’Avellino, il Sorrento. Ero perso, perché non ammetterlo. Posso capire come si sentono gli esodati, gettati in un limbo in mezzo ai cinquant’anni, quando la pensione è un incubo e ripartire è utopia. Cinque anni fa mi sono sentito un esodato del calcio. Non un fallito, quello mai, ma proprio un esodato, uno che ha competenze, capacità, energia ma viene considerato di troppo da qualcuno che prende decisioni senza cognizione. Ho avuto mesi, anni, per domandarmi quali fossero le scelte sbagliate dopo gli anni ruggenti alla Sansovino, dove e perché mi ero arenato. Non avevo mai smesso di studiare. Sapevo lavorare e pianificare le partite meglio di dieci anni prima. Ero diventato anche conosciuto e stimato da chi di calcio davvero ne capisce. Avevo sviluppato soluzioni innovative dal punto di vista tattico. Cosa mi mancava? Solo una questione di culo?

I miei schemi non erano di facile comprensione, ci voleva pazienza per vedere arrivare i risultati e nel frattempo i presidenti temevano la retrocessione. Ma non potevo cambiare il mio approccio. Le rose erano spesso mediocri, ragazzi anche con bei numeri ma oramai più interessati a fare gli idoli di provincia e a trombare ragazzine che a comprendere certi movimenti di reparto. E non potevo fare la campagna acquisti. Arrivavo spesso a metà campionato. Ma questo succedeva anche ad altri colleghi. Non ne imbroccavo più una.

Cosa mi mancava?

.

Vedi Maurizio, tu sarai anche un genio della panchina, ma quanto a diplomazia vali zero. Ma ci vuoi far rovinare da Tavecchio dicendo quelle cose in diretta alla Domenica Sportiva? Ma ti rendi conto che basta qualche arbitraggio contro per rovinare quanto di buono hai fatto, anzi, abbiamo fatto, se mi permetti, perché non credere di essere l’unico artefice del “miracolo Sansovino”. Se pensi davvero di essere libero di poter dire tutto quello che ti passa per la testa solo perché ha raggiunto qualche risultato in serie C2 non hai capito nulla di come si fa davvero carriera. Sei libero solo finquando non conti un cazzo, e solo in alcune situazioni.

.

Non avevo capito niente. Ci ho pensato molte volte in questi anni. Cardini mi stima, mi vuole bene e mi voleva aiutare anche in quella occasione. Ma io ho sempre preteso il lusso di sentirmi libero di fare le scelte e di dire quello che volevo.

Il fatto è che non riesco ad essere paraculo. In un paese di paraculi e ipocriti questo non è solo un handicap, è una condanna.

Credi che io non abbia pensato tante volte “dove sono finito”, “chi me lo ha fatto fare?”, ma per uscire da una situazione di merda, per risolvere i dubbi, l’unica soluzione che conoscevo era quella di lavorare, impegnarsi e dimostrare che si merita altro.

.

Hai fatto le tue cazzate, lo sai, non si tratta solo di essere paraculi o no. Hai sempre pensato che la scelta di lasciare la banca, quell’enorme atto di libertà e di follia, ti liberasse da ogni altra costrizione nel fare quanto amavi fare. E invece sbagli. Più ambizione hai e più sarai condizionato da essa. Ti conosco, tu non passi le giornate e le notti a pensare solo al calcio per non avere l’ambizione di arrivare a qualcosa di importante.

Le serate passate a fare i bischeri come ragazzini, a tirar tardi a parlare di calcio, politica e figa, quelle non me le dimentico e avremo sempre tempo di ritrovarle. Serate in cui sparisce l’ansia del futuro, ci siamo noi e le nostre passioni, lo stare bene assieme tra una chiacchiera e una battuta, senza dover fingere nulla. Questo è il bello della provincia, del dilettantismo come vocazione e non come rinuncia. Ma tu sei sprecato, lo sai. Non accetti compromessi e sudditanze e poi ti maceri con i rammarichi perché sei un rosicone.

.

Di cosa mi parli? Di partite rubate o vendute per un tozzo di pane? Di diesse che non capiscono un cazzo, che si vendono le partite e che si fanno pagare le mazzette sui trasferimenti estero su estero? Di gente che vorrebbero giustificare a me queste operazioni via Isole Vergini prendendomi per grullo o pretendere di fare finta che non capisco le loro manovre?

Vuoi sapere la verità? Ti parlo anche di questo, suvvia, non siamo ragazzini. Tu non ti farai cambiare dal sistema ma sei troppo intelligente per pensare di cambiarlo, soprattutto alla tua età. Un contesto dove ancora crederanno in te lo troverai ma devi capire che la libertà cui tenevi a vent’anni, la libertà che ti ha fatto fare certe scelte a quarant’anni, quella libertà si ridurrà ogni anno di più e devi accettare certe condizioni se vuoi provare a toglierti le soddisfazioni che meriti.

.

Sì, ho cinquatasette anni. Cinquantasette, oramai quasi più delle sigarette che fumo ogni giorno. Alla mia età Sacchi si era già ritirato pieno di trofei e miliardi. Io sto ancora qui, ad inseguire successi, gratificazioni, riconoscimenti, a cercare di recuperare il tempo che ho perduto quando non ho saputo inseguire il mio sogno.

Chi guarda dall’esterno la mia vita vede la favola, vede la follia, vede la meticolosità che porta ai risultati.

Io stasera vedo solo il fallimento.

E va bene, siamo di quelli che perdono. Ma siamo anche quelli che vincono ogni volta che trovano il coraggio almeno per provarci. Io stanotte ho perso. Ma per questo non rinuncio a credere di meritare di vincere.

Leave a Comment

Vai alla barra degli strumenti